Management della produzione

Il rallentamento della Cina si comprende guardando le Supply Chain

Crisi economica e near-shoring

Il 2016 si è aperto con un clamoroso tonfo delle borse asiatiche, che nella prima settimana del nuovo anno sono arrivate a perdere fino al 7% (indici di Shanghai e Shenzhen). Anche il 2015 si è chiuso in maniera deludente come la peggiore annata dal 2011, in una Cina nella quale l’attività manifatturiera si è contratta a dicembre per il decimo mese consecutivo (con l’indice Caixin/Markit Pmi in calo a 48,2 dal 48,6 di novembre).

Per quanto il contesto sia indubbiamente turbolento, è prematuro parlare di una reale crisi economica, in ogni caso il rallentamento dell’economia cinese è in parte spiegabile con la crescente tendenza al near-shoring, ovvero la pratica di avvicinamento della produzione al cliente finale.

A supporto di questa affermazione vi sono numerose indagini sviluppate da diverse organizzazioni, tra cui il MIT Forum for Supply Chain Innovation che già nel 2012 aveva lanciato un questionario telematico rivolto alle aziende statunitensi, per comprendere la dinamica di trasferimento dei siti produttivi dal far-east agli USA e i fattori alla base della decisione strategica. A quell’indagine risposero 156 aziende manifatturiere americane (intese come società con quartier generale sito negli Stati Uniti) e i risultati evidenziarono una sostanziale inversione di tendenza nel settore: mentre il 33,6% degli intervistati dichiarò che stava valutando l’opportunità di riportare le attività produttive negli USA, il 15,3% delle aziende rispose che stava già pianificando nel dettaglio tale processo. I risultati della medesima indagine condotta nel 2014 hanno confermato il trend in corso.

Un trend in crescita

Più recentemente una nota società di consulenza manageriale statunitense ha sviluppato uno studio rivolto alle maggiori aziende manifatturiere e di distribuzione operanti nel Nord America ed Europa Occidentale, che ha evidenziato addirittura un accelerazione di questo processo: il 32% delle società interpellate dichiara di aver già trasferito la produzione o di essere comunque nel processo di near-shoring per venire incontro al proprio mercato. Circa la metà dei manager intervistati afferma che il near-shoring è destinato ad essere implementato probabilmente entro i prossimi tre anni.

Un altro elemento a supporto di questa crescente tendenza è il Purchasing Managers’ Index (PMI), praticamente il termometro dell’attività manifatturiera di un paese in quanto tale indicatore tiene conto di nuovi ordini, produzione, tasso di occupazione, consegne e scorte nel settore. Un valore inferiore a 50 indica una contrazione del settore, mentre un valore superiore a 50 indica un’espansione del business.

In Cina il PMI a dicembre 2015 è risultato in calo a 48,2 dal 48,6 di novembre 2015, a conferma di una reale contrazione dell’attività; al confronto negli Stati Uniti il PMI è arrivato a 51,2 a dicembre 2015 e 52,8 a novembre 2015, evidenziando una rallentamento della crescita ma comunque un aumento dell’attività; infine in Europa l’indice ha toccato il valore di 53,2 a dicembre 2015 e 52,8 a novembre, a testimonianza di una discreta crescita dell’attività. La lettura di questi valori suggerisce che la decrescita dell’attività manifatturiera in Cina è legata sia alla diminuzione della domanda del mercato locale che agli effetti del near-shoring.

Di sicuro il trasferimento dei siti produttivi non genera necessariamente maggiori posti di lavoro nei paesi occidentali né significa che la Cina stia perdendo la propria posizione predominante nel settore manifatturiero, ma lascia intendere una trasformazione in corso, con le aziende che passano da una strategia globale (che guarda ai paesi a basso costo di manodopera) ad una più regionale, dove la Cina serva il mercato cinese, gli USA (insieme al Messico e all’America Latina) servano l’America e l’Europa dell’Est serva il mercato Europeo. Come testimoniano recenti studi questa tendenza sta accelerando negli ultimissimi anni, non solo a causa della necessità di creare posti di lavoro in occidente, ma anche perché le logiche economiche che avevano favorito l’off-shoring sono ora cambiate per una serie di valide ragioni:

  • Prezzo del petrolio
  • Costo della manodopera
  • Automazione
  • Rischio

Prezzo del petrolio

Negli anni ’90 il trasferimento delle attività produttive verso i paesi a basso costo di manodopera era favorito in parte dalle basse quotazioni di quel periodo. Nell’ultima decade il prezzo è triplicato, con ovvie ripercussioni sui costi di trasporto. Se è vero che recentemente il prezzo del petrolio sia calato, questo vale anche per alcune materie alternative come il gas naturale la cui produzione è decisamente aumentata grazie a tecnologie di nuova introduzione come la fratturazione idraulica. Questo significa che in alcuni settori i minori costi di produzione in occidente possano addirittura superare il calo dei costi di spedizione dalla Cina.

Costo della manodopera

Negli ultimi anni il costo della manodopera in Cina è decisamente aumentato (+20% annuo), contro un aumento annuo del 3% negli USA e in Europa Occidentale e un +5% in America Latina e Europa Orientale. Questo potrebbe giustificare una rivisitazione delle valutazioni fatte in tal proposito dalle aziende cinque, sette o dieci anni fa.

Automazione

L’evoluzione tecnologica nell’ambito dell’automazione ha favorito un costante aumento della produttività con investimenti sempre meno onerosi. Questo miglioramento delle performances ha evidenti impatti sul settore e ha ridotto l’importanza dei costi di manodopera, spostando il focus delle aziende più su operatori specializzati che sui paesi a basso costo.

Rischio

Le aziende multinazionali negli ultimi anni hanno dovuto fare i conti con sempre maggiori rischi legati alle politiche di outsourcing e off-shoring, poiché le Supply Chain sono diventate geograficamente più assortite e di conseguenza esposte a tutta una serie di potenziali complicazioni. Un esempio potrebbe essere il recente e tragico episodio avvenuto nella città portuale di Tianjin con l’esplosione di un deposito di materiali chimici probabilmente causata da una cultura diffusa di illegalità. Questi elementi potrebbero portare le aziende a riconsiderare la localizzazione dei propri siti produttivi per aumentare la flessibilità e ridurre i rischi.

L’attuale instabilità dei mercati asiatici probabilmente potrà accelerare il trend di near-shoring, ma gli impatti saranno differenti a seconda dei diversi settori e delle aziende. Per le aziende operanti nel settore dell’elettronica (computer e telefoni cellulari) trasferire la produzione dalla Cina non sarà facile né economico, al contrario delle aziende del settore dell’abbigliamento e degli accessori per le quali sarà certamente più semplice muoversi verso località più economiche. I produttori di elettrodomestici o del settore auto motive, maggiormente influenzati dai costi di spedizione, potrebbero trovare conveniente il trasferimento della produzione verso il mercato di destinazione.

In conclusione è opportuno che le aziende valutino continuamente i cambiamenti del contesto specifico nel quale operano per definire se questi giustifichino o meno un cambiamento nelle proprie strategie di approvvigionamento.